Infarto STEMI: il trattamento con Bivalirudina per 2 ore dopo PCI attenua il rischio di trombosi precoce


La Bivalirudina ( Angiox, Angiomax ) ha dimostrato di essere superiore a una strategia a base di Eparina e inibitore della glicoproteina IIb/IIIa ( GPI ; inibitore GPIIb/IIIa ) riguardo agli eventi avversi cardiovascolari) nei pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento ST ( infarto STEMI ), sottoposti a intervento coronarico percutaneo ( PCI), nonostante un aumentato rischio di trombosi acuta dello stent.

E’ stato ipotizzato che una infusione di 2 ore di Bivalirudina dopo PCI potesse essere utilizzata, senza rischio emorragico, come metodo potenziale di attenuazione del rischio trombotico precoce.

E’ stato preso in esame un protocollo regionale basato sulla terapia di routine con Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ), Clopidogrel ( Plavix ) ed Eparina in bolo seguita da PCI primario per infarto STEMI con l’impiego di Bivalirudina.

Lo studio ha riguardato tutti i pazienti consecutivi ( periodo 2009-2011 ) con infarto STEMI, richiedenti procedura coronarica percutanea primaria.

Sono state confrontate le caratteristiche basali e gli esiti clinici del Registro regionale del University of Vermont rispetto ai gruppi storici della Bivalirudina ( trattamento con Bivalirudina interrotto alla fine di PCI ) o Eparina non-frazionata associata a inibitore della glicoproteina dello studio HORIZONS, e sono stati determinati i predittori indipendenti di sanguinamento.

Dei 346 pazienti sottoposti a PCI per infarto STEMI, il 98% ha ricevuto Bivalirudina, l'82% Bivalirudina 2 ore dopo l’intervento, e il 13.3% di tutti i pazienti trattati con Bivalirudina hanno ricevuto terapia di salvataggio con inibitore GPIIb/IIIa.

La mortalità per qualsiasi causa è stata pari al 3.1%.

Il tasso di sanguinamento complessivo è risultato inferiore al 50% rispetto al braccio inibitore GPIIb/IIIa dello studio HORIZONS e simile al braccio Bivalirudina di HORIZONS.

La trombosi dello stent si è verificata in una percentuale inferiore all’1.0%.

Il trattamento di salvataggio con inibitore GP IIb/IIIa ha dimostrato di essere un potente predittore indipendente di complicanze emorragiche.

Dallo studio è emerso che la Bivalirudina somministrata per 2 ore dopo una procedura coronarica percutanea rappresenta un possibile algoritmo farmacologico regionale per il trattamento dell’infarto STEMI mediante PCI; inoltre la somministrazione di Bivalirudina dopo PCI non è associata ad aumento del rischio emorragico. ( Xagena2012 )

Mueller E et al, Am J Cardiol 2012; Epub ahead of print



Cardio2012 Farma2012


Indietro

Altri articoli

È noto che l’emicrania e l’ipertensione indotta dalla gravidanza ( PIH ) aumentino il rischio cardiovascolare. Tuttavia, l’evidenza è limitata...


L'Agenzia europea per i medicinali ( EMA ) e l’Agenzia Italiana del Farmaco ( AIFA ), hanno informato gli operatori...


I pazienti di età pari o inferiore a 50 anni che hanno sofferto di un infarto miocardico e hanno malattie...


E' stato studiato l'Acido Linoleico dietetico e le concentrazioni plasmatiche in relazione al rischio di diabete di tipo 2 nei...


I risultati di studi storici suggeriscono che un colesterolo LDL elevato non è associato a un aumento del rischio di...


Gli studi attuali che hanno valutato il rischio di ictus, infarto del miocardio e decesso nei pazienti sottoposti a terapia...


È stato confrontato il rischio di infarto miocardico acuto incidente nella popolazione affetta da sclerosi multipla e una popolazione abbinata...


Sebbene l'infarto miocardico silente rappresenti circa la metà del numero totale di infarti miocardici, il rischio di insufficienza cardiaca tra...


L’aumento del rischio di demenza dopo infarto miocardico può essere mediato da fattori di rischio condivisi ( ad esempio, aterosclerosi...


Uno studio ha dimostrato che i pazienti con malattia infiammatoria intestinale sono a maggior rischio di infarto miocardico. L'infiammazione cronica è...